COME SI PUÒ FAR NASCERE QUALCUNO?
Il riconoscimento reciproco e amorevole della nostra vulnerabilità segna in qualche modo l’inizio di un cambiamento nelle relazioni umane che intratteniamo: in quel momento tutti i rischi sono ormai accettati, tutte le paure possono scomparire, e si può cominciare a costruire insieme.
L’altro giorno mi chiedevo: come si può far nascere qualcuno? Credendo in un uomo, dandogli fiducia, lo si fa esistere. Un fratello mi diceva: «Sono riuscito a padroneggiare la macchina (lui lavora in laboratorio) perché il mio capo mi ha dato fiducia; allora ci sono riuscito». Una tale fiducia si dimostra onerosa per chi la dà: occorre rischiare che il lavoro venga fatto male all’inizio, o che venga impiegato più tempo per svolgerlo. Ad ogni modo, se si vuole aiutare questo fratello ad «essere», è necessario. Allo stesso modo, nell’insegnamento occorrerebbe essere capaci di non sbattere in faccia agli altri tutto quello che crediamo di conoscere, ma sarebbe piuttosto utile destare in loro le capacità di conoscere e di pensare con le proprie teste: non sono sicuro, sebbene io insegni da anni, di essermi inoltrato molto su questa strada, ma lo desidero in maniera sincera.
Il vero amore è creatore, creatore dell’altro, e nessuna creazione può realizzarsi se non si ama. E anche allora ci sono dei limiti. Dio soltanto può creare gli altri «con il respiro della sua parola»; per noi la creazione dell’altro è come la creazione di noi stessi: un’opera che richiede molta pazienza. Ma credo veramente che se si prova il desiderio di dare all’altro la possibilità di esistere sempre di più, allora si è già dei creatori. Inversamente, è anche necessario accettare di lasciarsi creare. In questo modo, poco a poco, comprendo che i fratelli sono per me un cammino verso Dio, come io lo sono per loro.
In passato non siamo stati così preparati per comprenderlo e, senza che ciò fosse trasmesso esplicitamente dalla pedagogia che ci veniva proposta, il fratello era ritenuto al limite più un pericolo che un aiuto; la relazione con qualcun altro era vista con diffidenza; in essa si vedeva più una possibilità di distrazione che di raccoglimento, più l’occasione di un’affettività discutibile che l’apertura di un cammino verso Dio. Ciò che portava a Dio (e penso che ciò conduca ancora a Lui) era l’orazione, il silenzio, l’offerta, la lettura della Scrittura, i libri, e sul piano umano l’incontro con il padre abate: insomma, sia lo sforzo interiore personale, sia la mediazione del padre spirituale, sia le mediazioni scritte. Ma la mediazione orizzontale, parlata, con il fratello che si colloca sullo stesso piano, non veniva molto presa in considerazione, nonostante essa sia una realtà teologica molto profonda.
Infatti, se ogni uomo è fatto a immagine di Dio e rispecchia un certo volto di Cristo che lui solo può rispecchiare, e se mostra un volto umano che è unico al mondo, sorridendo direi: teoricamente la contemplazione di questo fratello dovrebbe essere un cammino verso Dio, e un cammino privilegiato: lo sguardo teologico che si posa su un fratello, lontano dal dimostrarsi una distrazione, può essere al contrario un ricordo; l’ascolto degli altri e l’apprezzamento delle loro parole, invece di farci allontanare dalla ricerca di Dio, ci riconducono verso di essa; un vero incontro con Dio è realizzabile solo nell’altro, e non perché l’altro è Dio – come nell’espressione che a me proprio non piace: «Dio è gli altri» -, ma perché Dio si rispecchia nelle sue immagini.
Da qualche anno mi riesce molto più facilmente ammirare e anche meravigliarmi – si, meravigliarmi – dei miei fratelli innanzitutto, e poi delle persone più in generale; mi convinco sempre di più che lo sguardo benevolo sugli altri è in generale il vero sguardo, mentre lo sguardo malevolo è quello falso. Mi persuado – anche se sarebbe più giusto dire: progressivamente mi trovo persuaso – che l’uomo è buono, e che guardarlo con ammirazione lo rende buono. Ma c’è ammirazione e ammirazione: ammirazioni beate, interessate o impure, nel senso più ampio del termine, ma anche ammirazioni infantili, ingenue nel senso buono del termine; assorbite tutti gli aspetti migliori di un uomo e sarete in questo modo capaci di mandargli un riflesso atto a donargli fiducia. Questa è una fonte infinita di grande gioia e forse anche di soluzioni per far cessare i conflitti. Un buon mezzo per superare lo scontro consiste nel prestare attenzione a tutto quello che c’è di buono e di vero in colui contro il quale ci opponiamo, dato che la contrapposizione ci fa vedere soprattutto quello che ci contraria e ferisce.
Ghislain Lafont, Monaci e uomini, 2017
padre Agostino