Domenica delle Palme – C

QUESTO È IL MIO CORPODATO PER VOI

Lc 22,14-20

E quando venne l’ora si sdraiò e gli apostoli con lui.  E disse loro: Con desiderio desiderai mangiare questa Pasqua con voi prima del mio soffrire; poiché vi dico: non la mangerò più fino a che sarà compiuta nel regno di Dio.E, ricevuto un calice, rese grazie, disse: Prendete questo e dividete tra voi. Poiché vi dico: non berrò più d’ora in poi  del frutto della vite fino a quando sia venuto il regno di Dio.E preso del pane, rese grazie, spezzò e diede loro dicendo: Questo è il mio corpo, dato per voi; fate questo in mia memoria.E, allo stesso modo, il calice, dopo aver cenato, dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue versato per voi.

Siamo all’alba dell’ultimo giorno della esistenza terrena di Gesù. “Il sesto giorno” della settimana, quello in cui il Padre porta a compimento la sua opera creando l’uomo “a sua immagine e somiglianza”, per giungere poi al sabato, al riposo finale della sua fatica. In questo giorno il Figlio, che opera sempre come il Padre, invita l’umanità alla sua Cena, al suo banchetto perché, immergendoci nel mistero del suo amore passionale, “mangiamo” di Lui, “beviamo il calice” che Lui stesso sta per bere, e così abbeverandoci del Suo Spirito riceviamo in dono il pegno della sua vita.Celebrare l’Eucarestia è come risalire  alle fonti da cui scaturisce tutto il Vangelo: «Fate questo in mia memoria» (v. 19) e accogliamo Gesù, lieta notizia del Padre. Ed è sempre nell’eucaristia che ci è dato di riscoprire il significato profondo di tutto quanto Gesù ha detto e fatto. Qui il Padre, donandoci il suo Figlio prediletto e amato, raggiunge  l’apice del suo amore per noi: ci dona sé stesso, si unisce a noi e si fa nostra vita. Nella spinta di essere desiderato da chi ama, si fa suo bisogno fondamentale: pane! E allora noi ne mangiamo e  viviamo di Lui. E poiché ogni creatura umana diventa ciò che mangia, mangiando del Figlio, diventiamo figli. Siamo progressivamente assimilati al corpo del Signore donato per noi e  inebriati del suo sangue, effuso per noi.Proprio per questo Gesù non intende vivere questo momento “con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta” come prescritto per la Pasqua dei giudei (cfr. Es 12,11) ma si pone a suo agio (“si sdraiò”), in atteggiamento di riposo alla mensa del Padre insieme con i suoi apostoli. Ciò gli favorisce l’apertura del cuore per manifestare ad essi il suo intimo desiderio, il sovrabbondare del suo essere che è amore e vita. Al sopraggiungere della “sua ora” finalmente il suo desiderio è appagato, perché l’amore che dona è accolto e così si fa cibo della nostra fame e sete di Lui: “chi mangia di me, vivrà per me” (Gv 6,57).Questa intima realtà si realizza non più con il sacrificio di un agnello; questo è sostituito dal corpo di Gesù donato per noi e dal suo amore “fino alla fine” per l’uomo: “La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia” (Ct 2,6). Davvero sulla terra si realizza una cosa del tutto nuova: “Fino a quando andrai vagando, figlia ribelle? Poiché il Signore crea una cosa nuova sulla terra: la donna cingerà l’uomo!“  (Ger 31,22.). E nello stesso tempo, in Gesù, il Padre corona il suo sogno al di là di ogni aspettativa: quello di donarsi alle sue creature.Gesù gode di condividere con i Dodici questo sogno del Padre e dopo di loro “con voi e con tutti”, perché tutti amati da Lui di amore eterno. E proprio per il fatto che il suo amore non fa differenze di “buoni e malvagi, di giusti e di ingiusti” (cfr. Mt 5,45) il Suo amore è destinato a portare anche il male di coloro che ama. La croce piantata sulla terra, sarà il segno tangibile di un amore che non si arrende, non torna indietro neppure di fronte all’inconsistenza, al rifiuto degli uomini che avvolge col manto del suo amore, come a proteggerli dalle loro stese miserie: “Il Padre dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.” (Rm 5,8).Gesù era ben consapevole “che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre” (Gv 13,1) per cui ricorda ai suoi apostoli che questa sarà la sua ultima cena pasquale ebraica; ormai il segno dell’AT cessa e lascia il posto alla realtà nuova: la cena del Signore. L’agnello offerto in sacrificio dall’uomo, è sostituito dall’agnello di Dio, il Figlio stesso del Padre che dà la sua vita per la salvezza del mondo. Ma anche questa Pasqua avrà il suo pieno compimento nel Regno di Dio, quando Lui “sarà tutto in tutti” (1Cor 15,28). Anche la Cena del Signore non è la realtà ultima nella storia dell’umanità bensì è la porta che apre il cammino dell’uomo all’incontro definitivo con Lui.Culmine della Cena del Signore è il dono della vita che Gesù ha ricevuto dal Padre e che ora gode di offrire ai fratelli perché “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Ed è il corpo del Figlio, non un’animale sacrificato, la fonte donde scaturisce l’abbondanza di quella vita. Lui si fa nostro pane perché viviamo di Lui e non nutriamo la paura di “prendere” ciò che spesso in modo maldestro cerchiamo di rubare. Abbiamo l’ardire di prendere questo pane, perché è il solo che ci fa diventare come lui, assecondando quel desiderio che lui stesso ha messo nei nostri cuori. La solidità e la fecondità della nostra esistenza di credenti affonda le radici nella memoria di questo dono, non tanto e non solo emotiva, ma  vivificata e attraversata, nel nostro cammino quotidiano, dal suo amore crocifisso.Al dono del corpo di Gesù, l’evangelista aggiunge separatamente il suo sangue per indicare la sua morte in croce: la nuova alleanza ha il sigillo di un amore crocifisso per noi. L’uomo purtroppo, nella sua reiterata infedeltà, ha sempre rotto il patto stabilito con l’alleanza. Ma con Gesù, il peso della maledizione che avrebbe dovuto abbattersi sull’uomo, è ricaduto sul suo corpo crocifisso. Così l’alleanza, sigillata dal Suo sangue, rimane per sempre e non può essere più cancellata; il suo amore infatti resta fedele in eterno, nonostante tutto quello che noi possiamo combinargli: Lui è Dio e non uomo!I segni del suo corpo dato per noi e del suo sangue versato per noi peccatori sono d’ora in poi la garanzia assoluta che “se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso” (2Tm 2,13). Solo nella consapevolezza di questa realtà arriviamo a conoscere chi è Dio per noi: amore assoluto e senza condizioni. E conosciamo anche chi siamo noi per lui: figli amati e perdonati in eterno nel Figlio. Da qui nasce la nuova legge, quella scritta nel cuore: è questo amore infatti ci rende liberi di rispondere generosamente e con gioia e ci rende capaci di amare come lui ci ha amati.

p. Agostino