Battesimo di Gesù

BATTESIMO DI GESÙ
MENTRE GESÙ STAVA IN PREGHIERA
IL CIELO SI APRÌ

Lc 3,15-16.21-22

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Le aspettative della folla nei riguardi di Giovanni erano davvero molto alte. Lui d’altronde  esercitava un’influenza tale su di essa che spontaneamente anziché andare in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme per i periodici riti di purificazione, s’inoltrava nel deserto dove predicava un battesimo di conversione. Le autorità della capitale Gerusalemme non vedevano di buon occhio tutto questo movimento e assiduamente mandavano delegati a controllare perché il prestigio del Tempio e il brusco calo degli interessi più economici che religiosi creava dei grossi problemi. Ma la folla non era eccessivamente preoccupata per i timori e le  preoccupazioni che angustiavano i loro capi; continuava a seguirlo incurante spesso anche del proprio mangiare.

Ma è chiaro che un evento così coinvolgente, nonostante e a dispetto del disagio e delle difficoltà che potevano essere generate da un luogo così inospitale come il deserto, faceva intuire che la gente arrivava fin là per delle esigenze umane e spirituali davvero profonde. Ormai la folla che lì accorreva avvertiva, in un modo sempre più incontenibile, il tumulto della mente e del cuore, per cui non poteva far a meno di chiedere al Battista: “Ma sei tu il Messia?”; oppure: ”Che cosa dobbiamo fare?”. Certo avrebbe potuto Giovanni approfittare del suo prestigio per attirare a sé il maggior numero di seguaci; ma non possiamo non prendere atto che la sua rettitudine e la sua coerenza interiore sono davvero proporzionali alla forza e determinazione con cui respinge ogni allusione in tal senso. D’altronde lo stesso Gesù ripetutamente evidenzierà alla folla la statura spirituale di Giovanni: ”Gesù cominciò a dire alla folla riguardo a Giovanni: Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento? E allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano vesti sontuose e vivono nella lussuria stanno nei palazzi dei re. Allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta” (Lc 7, 24-26).

La risposta di Giovanni si sviluppa in due momenti; una in riferimento alla sua attività di battezzatore e l’altra in riferimento alla persona e all’attività di Gesù.

Io vi battezzo con acqua”: il mio battesimo, dice Giovanni è l’immersione nell’acqua, come in una tomba liquida prenatale: ”Perché non mi fece morire nel grembo materno; mia madre sarebbe stata la mia tomba e il suo grembo gravido per sempre” (Ger. 20,17). Questa esperienza, per ogni uomo che è venuto in questo mondo, è come il cammino di ritorno all’abisso del suo essere creatura e limitata. Io, sottolinea Giovanni, non innalzo l’uomo a Dio; molto più semplicemente lo immergo nella verità della sua umanità, nell’acqua del suo limite e della sua morte, nella consapevolezza di essere un pugno d’argilla riarsa, in attesa che venga il più forte di me.

A Lui non sono degno di slegare i lacci dei sandali”. Quest’affermazione di Giovanni è molto di più di un attestato di umiltà, nasconde un significato più ricco e profondo che risale alla tradizione ebraica del “Levirato”. Per liberare la sposa dall’infamia dell’infecondità, il cognato o il parente più stretto doveva sostituirsi al marito defunto senza prole nel compito di rendere feconda la sposa. Qualora costoro non accettassero tale compito, subentrava un altro che manifestava la sua decisione compiendo il gesto del sandalo. Aldilà delle immagini, con questo detto Giovanni vuole con forza affermare che non sarà lui a render feconda la sposa, cioè il popolo di Israele, ma “Colui che verrà dopo di lui e che è più forte di lui”.

Lui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Giovanni intuisce chiaramente che la “forza” che caratterizza Colui che viene dopo di lui, consiste nella capacità di immergere l’uomo “nello Spirito Santo”, cioè  nella vita stessa di Dio. Proprio questo Spirito darà capacità alla nostra carne e alla nostra corporeità di essere la dimora prediletta del Padre, la stanza delle sue delizie. Proprio grazie allo Spirito, la nostra natura umana è trasfigurata in “vaso d’elezione”; infatti “noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi” (2Cor 4,7).

A differenza degli altri evangelisti Luca riferisce del Battesimo di Gesù e della gente che era insieme con Lui come di un fatto già avvenuto; la sua attenzione si rivolge non tanto all’evento in sé ma a quanto avviene in seguito.

Per prima cosa ricorda che Gesù “stava in preghiera”. La vita e l’amore del Padre hanno nella persona di Gesù la dimora prediletta dove si sperimenta il calore dello Spirito: “Il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!» (Lc 11, 13). Nella preghiera si compie il cammino di ritorno al Padre dal quale con Adamo ci eravamo nascosti; ora siamo finalmente davanti a Lui senza paura dei passi che lo avvicinano a noi e con la gioia di aver ritrovato la nostra identità di figli. Pregando “sperimentiamo” sempre più la nostra realtà di figli, proprio come quando nel respirare usiamo le facoltà del nostro apparato respiratorio. Se non immergiamo occhi e cuore nel volto del Padre, la nostra identità di figli non cresce né si sviluppa, e finisce per cadere in un totale oblio.

Il risultato della preghiera è che la dimora del Padre si apre, perché era chiusa per la disobbedienza di Adamo e con lui di ciascuno di noi. Il grido del profeta esprimeva efficacemente la drammaticità della situazione: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19). Ora, nel battesimo di Gesù, il Padre, “la cui delizia è stare con i figli degli uomini” (Pro 8,31), discende definitivamente tra noi, nella persona dello Spirito santo, il Dono di Dio. Spirito significa “vita”, santo significa “di Dio”. La vita stessa di Dio è donata all’uomo!  È il soffio vitale annunciato dal profeta  Ezechiele che dà vigore e vita alle ossa aride di tutta l’umanità. “Non sai di dove viene e dove va” (Gv 3.8), eppure ne senti la voce e ne percepisci la presenza nei suoi frutti. Sono essi che trasformano radicalmente le  nostre energie negative intrise di egoismo, di infedeltà, cattiveria, tristezza, violenza e malevolenza, per renderle capaci di “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e libertà” (Gal 5,2). È la creatura nuova plasmata dallo Spirito, l’uomo nuovo a immagine e somiglianza del Padre come suo Figlio.

Questo Spirito inoltre, sottolinea Luca, non è impalpabile: scende su Gesù “in forma corporea”, proprio come afferma Paolo: “In Lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col  2,9). Per cui è nel corpo di Gesù che ci è donata l’unica rivelazione piena del Padre. Ne consegue che quel Dio che nessuno ha mai visto (Gv 1,18), noi lo vediamo, lo tocchiamo, lo contempliamo nel Verbo di vita (1Gv 1,1ss) che ha detto:” Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30); quindi “chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9). In lui realmente la vita di Dio si è resa visibile, ha preso forma corporea.

Ma anche ogni cristiano, a somiglianza di Cristo, ogni uomo che lo accoglie nella sua esistenza, diventa “corporalmente” teoforo, portatore di Dio: Infatti “ noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2Cor 3,18).

L’aleggiare o il planare di una colomba è presa da Luca per esprimere la figura corporea dello Spirito. È una chiara allusione alle prime righe della Genesi dove vediamo lo Spirito di Dio aleggiare sulle acque del caos primordiale: “Ora la terra era informe e deserta e le  tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gn1,2); ed è pure un suggestivo richiamo al patriarca Noè, il padre dei salvati dall’acqua, che  attende con trepidazione il ritorno della colomba ambasciatrice del ritiro delle acque di morte dalla terra e della nascita di una nuova vita. (Gn 8,8-14). Ma come non rievocare, nel continuo e incessante tubare dell’amore da parte della colomba, la fedeltà stessa dell’amore di Dio che di continuo canta il suo amore per l’uomo, ansioso di una risposta. E ora che scende sulla nuova creatura, questa è la colomba che finalmente fa sentire allo sposo la sua voce e diviene la sua delizia: “O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro” (Ct 2,14).

Quando finalmente l’umanità, sedotta dalla docilità del Figlio, apre il suo volto e il suo cuore al desiderio del Padre, allora la Sua voce si fa risonanza della Parola, del progetto da Lui sempre sognato: la Parola eterna del Padre risuona nel tempo, dando senso e gioia alla storia degli uomini. Quando lo Spirito è sceso su Gesù, in Lui il Padre riconosce il Figlio; è Lui il Figlio, “l’amato” figlio unico del suo cuore, la delizia dei suoi  occhi.

 

padre Agostino