IV Domenica di Pasqua

IO SONO
LA PORTA DELLE PECORE
Gv 10,1-10

«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

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La guarigione, da parte di Gesù, del cieco fin dalla nascita ha portato con sé uno strascico molto pesante ad opera delle autorità giudee e particolarmente dei farisei, per il fatto che proprio questo “segno”, di aprire gli occhi ad un semplice rappresentante del popolo, innescava delle situazioni che le autorità, abituate a manipolare il popolo con il potere, non potevano assolutamente tollerare. Gesù era ben cosciente di questo risvolto che poteva suscitare la Sua opera a favore dell’uomo e lo esprime con estrema chiarezza: “Io sono venuto ad aprire un processo contro questo sistema, così coloro che non vedono, vedranno, e coloro che vedono, resteranno ciechi” (9,39).

Sappiamo bene che la missione di Gesù non è quella di giudicare l’umanità (3, 17; 12, 47); però la Sua presenza e il Suo comportamento finiscono per trasformarsi in una denuncia a danno della mentalità del mondo (7, 7) e di conseguenza si apre un processo a danno degli artefici di questo sistema. E giacché questo processo è in atto fin dall’inizio della Sua missione, ognuno deve operare una precisa presa di posizione: solo chi è dalla parte dell’uomo starà dalla parte di Gesù. E così quella situazione che le autorità da tempo avevano stabilita e accuratamente conservata  viene letteralmente rovesciata da Gesù, in quanto quelli che non hanno mai potuto conoscere, come il cieco dalla nascita, conosceranno e toccheranno con mano l’amore fedele e leale di Dio per la sua creatura. Al contrario, quelli che avrebbero potuto conoscere, resteranno nella cecità per il loro persistere nel rifiuto di Gesù.

La constatazione del sistema di questo “mondo” e il conseguente comportamento dei potenti e dominatori di questo mondo, sia civili che religiosi, spinge Gesù a far venire in piena luce la natura intima dell’autorità dei dirigenti del suo tempo, totalmente contraria al Suo modo di sentire e vivere l’impegno dell’autorità. Pur facendo uso di un linguaggio allegorico, Gesù stabilisce un riferimento essenziale per la relazione umana: c’è un solo modo legittimo per avvicinarsi alle pecore che è quello di “entrare dalla porta” del recinto in cui si trovano. Chi si serve della propria autorità per entrare pesantemente nella vita delle persone non è certamente animato da amore verso di loro, ma semmai dall’intento di sfruttarle a beneficio proprio. Di conseguenza Gesù non ha alcuna remora a chiamarli ladri e banditi: “ladri” perché si appropriano di ciò che appartiene a tutti, togliendo al popolo ciò che è suo; “banditi” perché fanno uso della violenza per sottomettere il popolo mantenendolo in uno stato di miseria e incrementare la bramosia di lucro e il potere del denaro.

A questo modello di autorità incarnato dai ladri e dai banditi, si oppone decisamente quello del pastore: sganciato dall’avidità del possesso e del dominio ha l’unico intento di prendersi cura delle pecore e non di sfruttarle. Proprio per questo suo atteggiamento, le pecore quando si sentono da lui chiamate per nome, ascoltano la sua voce: hanno percepito infatti che il suo è un messaggio di libertà e non di asservimento. Ne consegue, annota significativamente l’evangelista, la qualità che caratterizza l’attività del pastore: condurre fuori dall’istituzione giudaica coloro che rispondono alla sua chiamata. Questa ormai da tempo si è trasformata in un luogo di tenebre, dominato dall’interesse economico; il denaro, il “tesoro del Tempio” ha preso il posto del Padre (”una casa di commercio”:2,16). Cura del pastore, suo assillo è allora condurre il popolo fuori dell’ambiente religioso del tempio e liberarlo così dalla schiavitù e dalla morte.

È quanto mai eloquente il fatto che la parabola che Gesù rivolgeva a precisi interlocutori, cioè i dirigenti, sia disattesa proprio da loro; ma in realtà essi non vedono perché sono ciechi, non conoscono la sua voce perché non sono pecore sue e non capiscono il suo linguaggio perché se accogliessero il suo il messaggio di vita resterebbero spogli dei loro privilegi e della loro sicurezza. Gesù avverte così la necessità di abbandonare il linguaggio simbolico, pur adeguatamente chiaro ed esplicito, per dare un volto ancora più luminoso al suo annuncio: “Vi assicuro, sono Io la porta del recinto!”.

La porta “antica” che ha dato possibilità a Gesù di entrare nel recinto di Israele e condurre fuori le pecore, ha condotto a termine il suo ruolo. Ora afferma con determinazione di essere Lui la “nuova” porta, sia in riferimento alle autorità sia in relazione a coloro che lo seguono. I capi di Israele avevano concepito il loro rapporto con la gente in uno stile di potere e dominio con inevitabile degrado nello sfruttamento e nella violenza omicida (ladri e banditi). Di conseguenza raggiungere il popolo passando attraverso Gesù, comporta un profondo cambiamento di mentalità e comportamento: bisogna che il bene dell’uomo sia valore supremo e questo stesso amore per l’uomo, come lo è stato per Lui, lieviti la crescita delle nostre scelte e decisioni: “Questo è il comandamento “mio”, amatevi gli uni gli altri “come io” ho amato voi” (15,12).

L’affermazione di Gesù come “porta” non è da Lui proposta solo nei confronti delle autorità ma anche nei riguardi di coloro che Lo seguono; Gesù intende illuminare la qualità della Sua relazione con l’uomo.  Ne consegue che per ogni individuo, entrare dalla porta che è Gesù, significa «avvicinarsi a Lui», «dargli la propria adesione» (6,35), seguirlo o attenersi al Suo messaggio: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi … se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte» (8, 31.51).

Ed è così che Gesù conduce chi aderisce a Lui dal nutrimento della Legge al «pascolo», perché si nutra con il pane della vita che è Lui stesso, il Suo Spirito che lo rende capace di vivere di quell’amore fedele di cui si nutre:”La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (1,17). Se le autorità religiose e mondane si sono rivelate artifici di morte nel perseguire il proprio interesse e prestigio, Lui, al contrario, come scopo e obiettivo fondamentale, ha privilegiato l’interesse degli uomini perché possano godere della sovrabbondanza di vita: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (10,10).

padre Agostino