Male Morale

Se quanto detto sopra vale per il “male fisico”, come spiegare il “male morale” operato deliberatamente dagli esseri umani, che a mio avviso è l’unica forma di disordi­ne che merita veramente il nome di male?

In sede teologica si dice normalmente che l’uomo commette il male morale perché è libero di poterlo fare, giustificando così Dio e riversando totalmente la responsabilità sulla libertà umana. Non è sbagliato, ma io non penso che il problema in questo modo sia del tutto risol­to. Rimane infatti da spiegare perché l’uomo, teologica­mente considerato «a immagine e somiglianza di Dio», venga attratto dal male. Non parlo qui del male in quan­to frutto dell’ignoranza o della paura, che si spiega da sé. Né del male come frutto della miseria, che si spiega da sé in modo ancora più convincente. Parlo del male che si dà laddove non ci sono né ignoranza né paura né mise­ria, e neppure malattia psichica. Parlo del male che affa­scina e seduce per la sua perversione, per il suo nero luc­cichio. C’è infatti anche un piacere di fare il male, un piacere perverso che il più delle volte tra gli esseri umani si esplica in piccoli e maligni dispetti, ma che talora arri­va ad abissi per denominare i quali non resta che il lessi­co demoniaco. Lucidi esempi ne sono il marchese de Sa­de che gode del dolore e della morte altrui (da cui il ter-mine sadismo), lo Jago di Shakespeare che gode nel rovinare l’amore e la vita di Otello e Desdemona, il Nikolaj Stavrogin dei Demoni di Dostoevskij che gode nel sedurre e poi portare al suicidio una bambina di soli undici anni. Ma perché il male, sia nella quotidiana dispettosità sia in questi abissi demoniaci, affascina gli esseri umani?

La dottrina cristiana risponde rimandando alla tenta­zione da parte di un essere misterioso chiamato in diver­si modi, i principali dei quali sono Diavolo, Demonio, Sa­tana. In questo modo però non si fa che spostare il pro­blema più in là senza risolverlo, perché rimane da spie­gare come mai il Diavolo, che originariamente era un angelo buono e che per di più aveva l’incarico di “porta­re la luce” come si evince dal nome Lucifero, sia potuto cadere a tal punto in preda al male da diventarne la stes­sa personificazione. Come mai il portatore della luce im­magine del bene ha preferito le tenebre del male?

In realtà questo mito ci pone davanti all’abisso della libertà nella sua caotica indeterminazione, che può con­durre gli esseri umani a essere rappresentati tanto come “spirito santo” quanto come «spirito immondo». La capacità di seduzione del male sull’anima umana rimane quindi inspiegata, e non resta che constatarla come un fenomeno ovunque presente.

Cercando tuttavia di capirne qualcosa, vado con la mente all’essenza della natura così come finora sono riu­scito a coglierla, perché l’essere umano che compie il male morale rappresenta comunque un fenomeno fisico che si muove secondo la logica della natura. Ora la natu­ra è logos + caos, e anche l’essere umano lo è. L’essere u­mano però è il vertice del lavoro della natura per come è capace di elaborare l’informazione, e quindi contiene sia il vertice del logos sia il vertice del caos: è da qui che sca­turisce la sua possibilità di compiere gesti di bene al di fuori dell’ordinario e gesti di male altrettanto al di fuori dell’ordinario.

Più in particolare io credo che la questione riguardi quel centro cosciente che ci costituisce nella nostra personalità denominato io, ego, se. È qui che si dà la più stu­pefacente contraddizione, perché tale centro cosciente costitutivo dell’essere umano nella sua peculiarità lo può innalzare al livello divino (spirito canto) e insieme sprofondare al di sotto del livello delle bestie (spirito im­mondo).

La partita si gioca nell’io, nella dialettica che lo abita e che consiste nei tre passaggi in precedenza delineati: dall’asservimento alla liberazione dagli altri (primo li­vello della libertà-da), dalla libertà dagli altri alla consa­crazione della libertà a una realtà maggiore di sé (libertà-­per), da questa alla libertà da sé (secondo livello della li­bertà-da).

Chi non ha compiuto il primo passaggio dall’asservi­mento alla libertà-da è privo di consapevolezza effettiva, a volte persino della cosiddetta capacità di intendere e di volere, e quindi non può compiere il male morale, ma solo il male fisico. Colui che è a questo livello fa il male oggettivamente, ma soggettivamente è pressoché inno­cente, come innocente è  la tigre che non può non sbra­nare, e nel suo caso non si ha a che fare con un malvagio, ma solo con un pericoloso ignorante in balia dei suoi i­stinti, determinato dalla nuda e cruda natura.

Ben diverso è quando il male procede dall’ego consa­pevole perché mosso da volontà di potenza, dal deside­rio di primeggiare e sottomettere, dall’ebbrezza del do­minio sulle libertà altrui o dall’invidia che rode, quan­do il male cioè esprime non ignoranza bensì malvagità. In questo caso io penso che la forza di seduzione del male si radichi nel fatto che gli esseri umani sono attratti e sedotti dalla forza, è che il male venga da loro av­vertito come più forte del bene: si fa volutamente il ma­le per risultare più forti o semplicemente sentirsi tali. La radice del male morale consiste nella volontà di po­tenza dell’io.

Ma l’equivalenza male = forza è sbagliata, perché la forza raggiunge il suo vertice solo nella misura in cui produce armonia e stabilità del sistema. Lo si vede in fi­sica dall’accordo tra le quattro forze fondamentali della natura grazie a cui esiste l’essere e non il vuoto caos del­l’inizio; in politica dove le democrazie con la loro flessibilità risultano più resistenti delle rigide dittature; in psi­cologia dove la persona affidabile che sa fare squadra e alla lunga sempre più operativa di quella che tende a imporre se stessa. La ricetta della vita è il sistema, non c’è nulla nella vita che non sia un sistema in quanto ri­sultato di aggregazione, per cui è veramente più forte ciò che contiene la logica dell’aggregazione, cioè l’ar­monia e il bene: solo in questo modo la forza è stabile e duratura.

Per questo motivo il bene è più forte del male. Se non fosse così, il mondo sprofonderebbe in questo istante. L’equivalenza alla base del male morale appare quindi un fraintendimento, un abbaglio, una sostanziale e per­niciosa ignoranza: volendo essere forti, si diviene infidi e perversi, senza comprendere che la vera forza scaturisce dall’assecondare il verso fondamentale della natura, che è l’armonia, non nel pervertirlo.

E ancora una volta la nostra libertà mostra di compier­si quando si accorda a una logica preesistente, quella della relazione armoniosa, mentre l’essenza del male consi­ste nel disaccordo con tale logica. Tale disaccordo è do­vuto all’inevitabile logica del caos quando si tratta di male fisico e a una sostanziale superba ignoranza quando si tratta di male morale.

v. mancuso
padre Agostino